3. discussione e conclusioni
I contenuti
della norma ISO 17011, ancorché non tradotte ufficialmente, sono in
grado di influenzare numerosi documenti, tra cui regolamenti,
check-list e documenti dei sistemi qualità sia negli enti di
accreditamento che a cascata nelle organizzazioni che sviluppano un
loro sistema di gestione. La corretta traduzione ed interpretazione
delle parole usate da ISO 17011 è perciò importante per la corretta
applicazione nelle attività sia degli enti di accreditamento che dei
soggetti accreditati. Possiamo dire con Egger che quando si sbaglia
in un contesto ufficiale si rischia di ufficializzare l'errore.1
Le insidie
della lingua inglese sono molte. I termini a rischio basso sono
pochi, se si escludono i numerosi derivati della parola
"accreditamento".
In alcuni
casi, come per la parola "conformità", la parola deve
avere un valore puramente convenzionale, confinato all'ambito
ristretto delle norme tecniche destinate appunto alle attività
elencate da ISO. In altri casi la parola inglese costituisce una vera
trappola come "falso amico", con conseguenze catastrofiche
non solo nella lingua ma persino nella prassi, come nel caso di
"scope" (ambito). In altri ancora la trappola è stata
costruita in italiano da altre norme, come gli articoli di legge che
hanno introdotto in sanità l'accreditamento "istituzionale",
inducendo in errore migliaia di innocenti operatori sanitari. Altre
parole, come "imparzialità", possono avere valori multipli
in italiano, ma tra questi solo uno si applica alla norma ISO.
Va
evidenziata la scomparsa ufficiale della parola "audit",
fonte di grande incertezza tra gli italiani per la pronuncia (latina
o anglosassone). La parola "valutazione" forse non
migliorerà le attività dei valutatori (già "ispettori"),
ma almeno potrà risolvere l'ambiguità orale.
Mettere in
pratica le norme tecniche non è operazione facile. Prestare
attenzione all'uso delle parole non è affatto irrilevante, al
contrario può evitare fin da subito di avviarsi in percorsi
potenzialmente errati. In alternativa all'uso errato o alla piccola
fatica di individuare la versione corretta abbiamo solo la parola
inglese originale, con le conseguenze negative già descritte da
qualche autore.2
E' vero che
come diceva Leopardi nello Zibaldone che "...noi pensiamo
parlando. Ora nessuna lingua ha forse tante parole e modi da
corrispondere ed esprimere tutti gl’infiniti particolari del
pensiero.". 3
Tuttavia, nessuno ritiene di dover usare sempre e comunque parole
inglesi se sono disponibili buone alternative italiane. Soprattutto
se il prestito o la versione acritica non tengono conto delle
possibili differenze di significato concreto e della insidiosa
presenza di "falsi amici". E' così cresciuto un vasto
movimento di gentile resistenza all'eccessiva invadenza degli
anglicismi.4
La gestione
degli anglicismi non è facile. Si basa sulla proposta di buone
alternative autoctone, l'appoggio di centri economici e politici
dotati di autorevolezza (non basta l'Accademia della Crusca) e
soprattutto sulla tempestività dell'intervento, quando il
forestierismo inizia a diffondersi, in assenza di proposte
alternative, sia quando, eventualmente, si trova a competere con
alternative italiane.5
1Jean-Luc
Egger. "Anche di qua nuova schiera s’auna”: neologismi e
ufficialità plurilingue. In in La lingua italiana e le lingue
romanze di fronte agli anglicismi, 2015 Accademia della Crusca,
Firenze – goWare, Firenze
2Zoppetti
A. Diciamolo in italiano. Gli abusi dell'inglese nel lessico
dell'Italia e incolla. Hoepli, Milano 2017.
3Giacomo
Leopardi. Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella
letteratura (1817-1832). http://www.leopardi.it/zibaldone1.php
4Annamaria
Testa. Parole preziose. Internazionale 9 febbraio 2015 11.34
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2015/02/09/parole-preziose
5Michele
A. Cortelazzo. Per un monitoraggio dei neologismi incipienti. in La
lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi, 2015
Accademia della Crusca, Firenze – goWare, Firenze
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